Con la pubblicazione in G.U. (n. 232 del 3 ottobre 2024) del D. Lgs. n. 141/2024, recante le disposizioni nazionali complementari al Codice Doganale dell’UE, vede la luce una riforma del settore doganale resa necessaria dai tanti cambiamenti intervenuti nel corso degli anni nell’ambito degli scambi internazionali, oltre che dalla necessità di aggiornare la normativa nazionale al diritto europeo di diretta applicazione.
- IVA all’importazione: natura giuridica e novità normative
- Eccezioni alla qualifica di diritti di confine per l’IVA all’importazione
- Il dibattito sulla natura dell’IVA all’importazione: tributo interno o dazio?
- Il ruolo del rappresentante doganale indiretto nella nuova normativa
- Conclusioni: implicazioni della riforma per aziende e operatori del settore
IVA all’importazione: natura giuridica e novità normative
Un aspetto rilevante del nuovo testo normativo riguarda proprio la natura giuridica dell’IVA all’importazione. A tal specifico riguardo, l’articolo 27 della nuova disposizione, annovera espressamente l’imposta sul valore aggiunto tra i diritti di confine al pari dei dazi, al fine di chiarire che anche a questo tributo, per le operazioni di importazione, si applica la normativa unionale in materia di individuazione del debitore e di estinzione dell’obbligazione doganale.
Eccezioni alla qualifica di diritti di confine per l’IVA all’importazione
Tuttavia, è la medesima disposizione normativa a prevedere due specifici casi in cui l’IVA all’importazione non costituisce diritto di confine. Si tratta, in particolare:
- dell’immissione in libera pratica di merci senza assolvimento dell’imposta sul valore aggiunto per successiva immissione in consumo in altro Stato membro dell’Unione europea;
- dell’immissione in libera pratica di merci senza assolvimento dell’imposta sul valore aggiunto e vincolo ad un regime di deposito diverso dal deposito doganale.
Si tratta, dunque, di merci immesse in libera pratica e poi introdotte in un deposito IVA.
Il dibattito sulla natura dell’IVA all’importazione: tributo interno o dazio?
La riforma, così come concepita, assimila l’IVA all’importazione ai dazi doganali, ponendo fine ad un dibattito che si è protratto per decenni.
A ben vedere, il legislatore si è discostato dal dettato della giurisprudenza maggioritaria, unionale e nazionale, che attribuisce all’IVA all’importazione la natura di tributo interno e non di dazio doganale, nonostante condivida con questi ultimi la caratteristica di trarre origine dall’importazione e dalla successiva introduzione nel circuito economico. Sul punto, la Corte di Giustizia dell’UE non ha rinnegato la natura di tributo interno dell’IVA all’importazione pur essendo liquidata e riscossa con modalità analoghe a quelle proprie dei diritti doganali (cfr. CGUE, sent., C-15/81, caso Gaston Schul; sent. 12 maggio 2022, C-714/20; sent. 17 luglio 2014, C-272/2013, Equoland). Principio ribadito più volte anche dalla Suprema Corte di Cassazione (cfr.; Cass., SS.UU. sentt. n. 18284/2024 e 18286/2024; Cass., sentt. n. 24899/2023; n. 24343/2023; n. 22929/2023; 22646/2023; n.16509/2016).
Tuttavia, non sono mancate pronunce di segno opposto che hanno ricondotto la natura giuridica dell’IVA ai diritti di confine assimilandola, di fatto, a dazi doganali. A tal specifico riguardo, la Corte di Giustizia UE, nel riconoscere le differenze tra l’IVA all’importazione e l’IVA interna, ha specificato che le due categorie di infrazioni correlate si distinguono per le circostanze che attengono agli elementi costitutivi dell’infrazione, essendo l’IVA all’importazione riscossa all’atto dell’ingresso del bene nel territorio dello Stato membro, piuttosto che in occasione di uno scambio.
La stessa Corte di Cassazione, con un isolato intervento, ha dato seguito “all’orientamento giurisprudenziale che qualifica l’IVA all’importazione quale diritto di confine ai sensi dell’art. 34 TULD, la cui evasione integra il reato di contrabbando ex art. 292 TULD, e ciò in quanto detta soluzione interpretativa si presenta più aderente alla lettera dell’art. 34 TULD che, come visto, relativamente alle merci in importazione, ricomprende tra i diritti di confine non solo i dazi ma anche “ogni altra imposta o sovrimposta di consumo a favore dello Stato” (cfr. Cass., sent. 4978/2022).
Il ruolo del rappresentante doganale indiretto nella nuova normativa
Si tratta di una inversione di tendenza che porta ad assoggettare l’imposta sul valore aggiunto alla normativa doganale per quanto riguarda l’individuazione del debitore d’imposta e l’estinzione dell’obbligazione tributaria.
Per quanto concerne il primo aspetto, la responsabilità per il versamento dell’IVA ricade anche sul rappresentante doganale indiretto, il quale, dunque, sarà chiamato a risponderne in solido con l’importatore.
A ben vedere, sembrerebbe essere stata proprio questa la fonte ispiratrice del cambiamento dal momento che l’indicazione dell’IVA tra i diritti di confine risulterebbe finalizzata a fornire una risposta normativa al principio di recente enunciato dalla Corte di Giustizia UE, a mente del quale sulla base “dell’art. 201 della direttiva n. 2006/112/CE non si poteva riconoscere la responsabilità del rappresentante doganale indiretto per il pagamento dell’IVA all’importazione, in solido con l’importatore, in assenza di disposizioni nazionali che lo designino o lo riconoscano, in modo esplicito e inequivocabile, come debitore di tale imposta” (cfr. CGUE, sent. 12 maggio 2022 resa nella causa C-714/20).
Conclusioni: implicazioni della riforma per aziende e operatori del settore
La riforma del 2024, con la reintroduzione dell’IVA all’importazione tra i diritti di confine, porta con sé significative implicazioni per le aziende che importano beni e per i rappresentanti doganali indiretti, che saranno responsabili in solido del pagamento dell’imposta. Questo cambiamento richiede una maggiore attenzione alla gestione della compliance doganale e potrebbe rappresentare un importante adattamento delle prassi operative per molte aziende coinvolte negli scambi internazionali.
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